L’Arciere Mediterraneo: Il Ritorno all’Arte Marziale

Nel corso dei millenni, ciò che ha contribuito maggiormente a fare del tiro con l’arco un simbolo delle virtù umane, stimolando approfonditi studi e ricerche sull’assetto interiore e psicofisico dell’uomo-arciere, è stato certamente l’utilizzo militare organizzato di arco e frecce.

Le prime testimonianze sull’uso organizzato degli arcieri per le attività belliche si riscontrano in Cina , attraverso interessanti trattati militari della Dinastia Shang (1766-1027 a.C.) che, peraltro, si riferiscono ad una disciplina – che usando un neologismo chiameremo “Arcierismo” – perfettamente strutturata e codificata già da molti secoli. Ancor prima di quel tempo, infatti, nella cultura vedica dell’India centro settentrionale il tiro con l’arco era ritenuto il simbolo di tutte le Arti marziali e così era stato codificato in quello che, con tutta probabilità, è il più antico trattato di arcieria mai realizzato. Trattasi del “Dhanurveda” (Dhanur = Tiro con l’arco; Veda = Conoscenza), che nella sua stesura non si limita ad essere un semplice manuale di tiro con l’arco, ma imperniandosi sulla figura del guerriero-arciere assume anche un peculiare significato mistico e religPiù tardi, attraverso la Mongolia e le steppe dell’Asia Centrale, l’arcieria  bellica si sviluppava anche nel Medio Oriente, fino a raggiungere la Mesopotamia e l’Egitto e anticipando di molti secoli i primi modesti tentativi occidentali di integrare gli arcieri nei propri eserciti.  E’ per questo che l’arcierismo da carro in Egitto non ha alcun similare riscontro in occidente fino alla tarda età romana. A quel tempo in Cina esistevano già numerose compagnie e corporazioni militari di arcieri, a significare il particolare interesse verso questa specifica “disciplina marziale” che assumeva anche valori simbolici e sociali, tanto che nel trattato sull’arte della guerra scritto da Sun-Tsu nel VI secolo a.C, oltre a descrive l’uso strategico più appropriato degli arcieri in battaglia, si fa del tiro con l’arco il simbolo delle virtù e delle capacità umane.
 
Il tiro con l’arco fu codificato come un’importante Arte marziale anche nella cultura giapponese, dove il connubio fra tecnica, disciplina di vita e concezione spirituale, diede vita al Kyu-Do. L’importanza della disciplina del tiro con l’arco fu tale in Giappone che per lungo tempo l’arco composito di derivazione cinese (antecedentemente allo Yumi, poi utilizzato nel Kyu-Do), fu il simbolo stesso anche dei samurai, prima ancora che lo diventasse il katana (spada). Se in Cina e Giappone gli arcieri appiedati e quelli su carri ebbero grande importanza strategica e millenni di evoluzione, l’arcierismo a cavallo (come lo stesso uso del cavallo in guerra) veniva invece praticato dagli Assiri e dalle popolazioni delle steppe e si sviluppò già 23 secoli prima di Cristo, rappresentando una peculiare specialità militare che contribuì notevolmente all’evoluzione tecnologica dell’arco (arco mongolo).

In Europa le cose andarono diversamente; i romani, addirittura, consideravano l’arco come “arma barbara” e gli arcieri del tempo erano quasi sempre ausiliari non romani.  Solo gli scontri con i Parti asiatici (esperti arcieri a piedi ed a cavallo) li costrinse a cambiare idea. Ciò nonostante, in un occidente in cui il cavalierato difendeva il suo status ritenendo il tiro con l’arco appannaggio di plebei, contadini e banditi, l’arcierismo bellico fu rivalutato pienamente solo in seguito alle battaglie con gli eserciti musulmani (dotati di truppe di abilissimi arcieri) ed alla verifica sul campo dell’efficacia degli arcieri a cavallo mongoli, ad Est, come degli arcieri appiedati inglesi, dotati di archi lunghi, ad Ovest.

E così, a partire da quel momento storico, anche in Europa il tiro con l’arco divenne una vera e propria disciplina marziale in cui, sempre di più, si intrecciavano gli aspetti strettamente militari con quelli legati alle competizioni di tipo sportivo. Infine, nella nostra Europa, fu proprio la nascita di varie corporazioni sportive che avvenne in diverse realtà europee (Galles, Svizzera, Bretagna, Italia) e la conseguente regolamentazione delle prime gare (organizzate in Inghilterra nel 1781 dalla Royal Toxopholite Society), ad imporre tipologie di addestramento che abbandonarono definitivamente la matrice “marziale” legata al tiro con l’arco da guerra, per sfociare in semplice attività ludico-sportiva tout court. L’Arco, per la prima volta nella storia, non serviva più a fare la differenza fra la vita e la morte, la vittoria e la sconfitta (in battaglia), la libertà e la schiavitù, e quindi venne presto relegato ad un semplice ruolo “ricreativo” che cancellò quasi completamente l’antico assetto tecnico e culturale legato all’affascinante disciplina marziale mediterranea.

Oggi, in tutt’Europa, aldilà dell’aspetto legato esclusivamente alle competizioni olimpiche (tiro al bersaglio) e al dilagare dell’imperante tecnologia che propone l’arco come uno strumento altamente sofisticato, si assiste anche ad una sorta di recupero dell’impostazione “marziale” (più ancora che venatoria) che per millenni ha contraddistinto il tiro con l’arco, in un’ottica di rivalutazione dell’individuo e delle sue radici storiche, culturali e territoriali. E, nella nostra nazione, ciò non vale soltanto per chi è sensibile alle filosofie orientali (alla Errigel) o alle psicologie dell’Io, o ancora alle tematiche naturalistiche o al salutismo o alle metodologie legate alla caccia primitiva, per quanto si tratti di argomenti forti e coinvolgenti, ma soprattutto per quel consistente numero di arcieri la cui crisi identitaria è andata via via crescendo nell’ultimo decennio, manifestata dall’entropia dilagante di cui un certo sistema sportivo è vittima (generalizzazione, banalizzazione, uniformazione e frustrazione del contenuto introspettivo e della crescita psicofisica dell’arciere).

In questo contesto assumono particolare rilevanza gli studi e le ricerche compiute dall’ illustre storico salernitano Dr. Giovanni Amatuccio – sull’educazione, formazione e metodi di addestramento del cosiddetto “Arciere mediterraneo” –  attraverso la decifrazione e interpretazione di antichi trattati del medio oriente che si rivolgono ai docenti delle scuole di tiro con l’arco, agli allievi arcieri, agli ufficiali e strateghi dell’epoca; trattati sull’arte della guerra che,  tramite la parola scritta, pongono le basi di una “scuola di tiro”, che stupisce per la modernità e la concreta applicabilità del metodo che emerge dalla straordinaria cultura (psicologica, fisica, medica, matematica, pedagogica e didattica) di cui gli antichi Maestri sono portatori.

L’Arciere Mediterraneo” è oggi il nome di un articolato Progetto – nato a Salerno, ma già condiviso a livello nazionale da nomi illustri dell’Arcieria italiana  – che si innesta proprio sulle dotte ricerche storiografiche di Giovanni Amatuccio.

Il Progetto di ricerca è attivato attraverso l’opera di un selezionato Gruppo di lavoro (composto da ricercatori, medievalisti, istruttori di tiro con l’arco e Maestri di arti marziali avvicinatisi da tempo anche al mondo dell’arcieria) e si propone primariamente di attivare un percorso didattico e formativo, ben strutturato e regolamentato, riconducibile alle forme di addestramento proprie della disciplina del tiro con l’arco inteso come Arte marziale; è rivolto sia ad arcieri neofiti interessati all’argomento, sia a quelli più esperti interessati ad approfondire le proprie conoscenze ed il proprio bagaglio tecnico.

Chi fosse interessato a condividere questo percorso educativo, a far parte del Team che supporta il progetto, o anche per ottenere maggiori informazioni, può scrivere a  avalon.sa.info@gmail.com.